Livello di recepimento dei dati scientifici sul riconoscimento
Abbiamo passato in rassegna i principali risultati delle ricerche scientifiche in tema di riconoscimento.
Quanto però questi dati scientifici sono recepiti da Magistrati ed Avvocati?
Wise e Safer (2004) hanno chiesto a 160 Giudici americani di completare un questionario, formato da 14 domande, circa le loro conoscenze sul riconoscimento visivo; i risultati mostrano che, in media, essi rispondono concordemente al dato scientifico solo nel 55% dei casi, mostrando, inoltre, di non essere a conoscenza della frequenza con cui gli errori nel riconoscimento hanno avuto, e hanno tuttora, nella condanna di persone innocenti. Gli autori hanno anche riscontrato che non vi è correlazione tra anni di esperienza professionale e conoscenze nell’ambito della testimonianza.
Wise e colleghi (2007) hanno indagato le stesse conoscenze anche su un vasto gruppo americano di avvocati difensori ed accusatori (1257 soggetti in tutto). Gli avvocati dell’accusa in media hanno risposto correttamente al 47% delle domande, mentre sono risultati più preparati gli avvocati della difesa, con una media di risposte corrette al 78%. Questa migliore performance, però, sembra dovuta in gran parte ad un maggiore scetticismo verso l’accuratezza della testimonianza, piuttosto che ad una maggiore conoscenza sui rischi e limiti di tale prova. Gli avvocati dell’accusa ( corrispondenti ai PM nel nostro sistema penale ) si sono mostrati più propensi a credere che i giudici fossero preparati in materia e che gli errori nella testimonianza oculare fossero limitati.
Recentemente, Magnussen S., Safer M., Sartori G., Wise R. (2013) hanno condotto uno studio simile anche in Italia. Gli autori hanno sottoposto a 100 avvocati difensori un questionario di 12 domande; in media essi hanno risposto correttamente al 71% delle domande sulla testimonianza oculare. Come per lo studio precedente, le risposte corrette sembrano dovute prevalentemente alla scarsa fiducia che essi ripongono su questo tipo di prova, piuttosto che a conoscenze in questo campo. Inoltre, anche per i professionisti italiani non è stata trovata correlazione tra anni di esperienza lavorativa e conoscenze sulla psicologia della testimonianza.
Magnussen e Malinder (2012) hanno voluto invece indagare cosa sapessero gli psicologi sulla testimonianza oculare. Per fare ciò, hanno intervistato 858 psicologi norvegesi, scoprendo che questi non differivano per conoscenze in tale ambito dai professionisti legali. Gli stessi autori hanno poi posto le stesse domande a 115 psichiatri e psicologi che avevano partecipato a dei processi in quanto esperti di testimonianza, scoprendo che avevano le medesime errate conoscenze dei loro colleghi che, però, non avevano mai partecipato ad un processo. Alle stesse conclusioni sono giunti Mirandola e colleghi (2013), intervistando un gruppo di psichiatri e psicologi italiani.
A titolo esemplificativo, riporto alcuni stralci di sentenze rappresentative delle valutazioni poste alla base di condanne fondate sul riconoscimento:
“Nel corso dell’incidente probatorio la persona offesa ha indicato l’odierno imputato e un altro uomo presente alla ricognizione come coloro i quali “assomigliano” all’autore. In dibattimento, poi, la minore xxx ha espresso una dichiarazione confermativa in termini di alta probabilità sulla fotografia corrispondente proprio al xxx. Ritiene il collegio che l’assenza di manifestazioni di granitica certezza non riduca affatto l’attendibilità della prova bensì, al contrario, sia in questo caso sintomatica di equilibrio e genuinità. (...) ciò nondimeno, nel caso di specie le lamentate inesattezze nel modus operandi non hanno in alcun modo inciso sull’efficacia dei risultati istruttori. (...) Appare infatti oltremodo difficile ritenere che le poche fotografie de quibus, in cui il volto della persona non è neppure ben visibile, possano sin da subito consentire a due bambine i riconoscimenti sopra riassunti. (...) La lamentata assenza di efficaci elementi “distrattori” non appare invero verificabile: in ogni caso, pure a convenire su alcune delle riserve espresse, massimamente rileva considerare che non un solo spunto di effettiva contraddizione o d’incoerenza è stato mai dedotto nella complessiva sequenza” (Sentenza 14687/14; Tribunale di Udine).
In un’altra sentenza si legge:
“Il difensore ha sottolineato come la descrizione offerta dalla giovane nella prima deposizione non si sposasse appieno con la descrizione dell’imputato: età sui trent’anni, colore scuro dei capelli. Il prevenuto ha invece 24 anni ed è di colore rosso. Va rilevato che nell’integrazione della denuncia, però, allorquando la ragazza ha riferito di aver individuato l’uomo in auto segnando la targa, l’età era stata ridotta a 25-27 e il colore connotato di “tratti rossicci”, avvicinandosi maggiormente, perciò, al dato relativo al prevenuto. (...) Ritiene il giudice che per buona parte dei testi e specie per una giovane di prima media, l’individuazione dell’età di una persona sia sempre problematica, dipendendo sia dalla esperienza maturata in tale valutazione, sia dalla età che la persona mostra nel peculiare frangente in cui è vista, e dalla combinazione delle due variabili, con un grado di soggettività nella valutazione, perciò che può solamente essere orientativo. (...) La chiara descrizione ed individuazione fotografica effettuata dalla ragazza appaiono frutto, perciò, non di una suggestione, quanto portato del proprio vissuto e della propria esperienza diretta. (...) Le scarne cose dette dalla giovane (qui il giudice fa riferimento ad un’altra teste, classe 2000; ndr), in sintonia con la immediatezza di un unico fatto, appaiono credibili e non certo frutto della suggestione collettiva. (...) Peraltro la stessa ha detto di aver parlato del fatto non con le ragazze più giovani, bensì con quelle più grandi “già alle superiori” confrontandosi con loro sulla presenza di un giovane che, con le stesse caratteristiche, pure loro avevano notato in atteggiamenti non consoni. (...) Il rischio di “contagio” riportato dal difensore anche sulla base di una consulenza tecnico psicologica, non appare ancorato a dati certi. Anzi la P.G. ha dato atto di aver effettuato le ricognizioni in modo rituale e tra la “sintesi dei fatti” alla Polizia di Stato, svolta dalla professoressa xxx e l’atto di ricognizione, effettuato dai carabinieri, vi sono stati solo 10 giorni, che non appaiono tali da poter avere portato ad accordi illeciti o comunque nascosti in ordine alla individuazione della persona” (Sentenza 602/14; Tribunale di Vicenza).