I criteri valutativi della attendibilità intrinseca: le sentenze rilevanti
La Giurisprudenza di Cassazione si è occupata ripetutamente dei criteri da utilizzare per la valutazione della attendibilità intrinseca. Tali criteri tendono ad essere molto simili fra sistemi penali diversi (es. Italia, US, UK).
Tali criteri includono la spontaneità, verosimiglianza, precisione, costanza e reiterazione senza contraddizioni essenziali, coerenza logica e ragionevolezza, articolazione in molteplici e dettagliati contenuti descrittivi, completezza della narrazione dei fatti, etc.
Una ricognizione della Giurisprudenza che affronta i criteri da prendere in considerazione viene riportata di sotto. Come si può osservare vengono ricordati i criteri ma non si fa menzione del metodo operativo per rilevarli.
Cassazione penale sez. VI, 20/11/2018, (ud. 20/11/2018, dep. 15/01/2019), n.1741: “La valutazione sull'attendibilità delle dichiarazioni accusatorie rese dalla vittima minore di età deve tenere conto non solo della loro intrinseca coerenza, ma anche di tutte le altre circostanze concretamene idonee ad influire su tale giudizio, ivi inclusa la verifica sull'incidenza di autosuggestioni e di suggestioni esercitate da persone adulte,[...].
Cassazione penale sez. I, 11/10/2017, (ud. 11/10/2017, dep. 23/04/2018), n.18019: “La chiamata in correità o in reità de relato, [...] ai fini della prova della responsabilità penale dell'accusato, altra o altre chiamate di analogo tenore, purché siano rispettate quelle condizioni che ne confortino adeguatamente la valenza probatoria e, dunque: che risulti positivamente effettuata la valutazione della credibilità soggettiva di ciascun dichiarante e dell'attendibilità di ogni singola dichiarazione, in base ai criteri della specificità, della coerenza, della costanza, della spontaneità; che siano accertati i rapporti personali fra il dichiarante e la fonte diretta, per inferirne dati sintomatici della corrispondenza al vero di quanto dalla seconda confidato dal primo; che vi sia la convergenza delle varie chiamate, che devono riscontrarsi reciprocamente in maniera individualizzante, [...]; che vi sia l'indipendenza delle chiamate, nel senso che non devono rivelarsi frutto di eventuali intese fraudolente […]”.
Cassazione penale sez. III, 30/03/2016, (ud. 30/03/2016, dep. 04/10/2016), n.41467: “In tema di reati sessuali, la deposizione della persona offesa può essere assunta anche da sola come fonte di prova della colpevolezza, ove venga sottoposta ad un'indagine positiva sulla credibilità soggettiva ed oggettiva di chi l'ha resa, dato che in tale contesto processuale il più delle volte l'accertamento dei fatti dipende necessariamente dalla valutazione del contrasto delle opposte versioni di imputato e parte offesa, soli protagonisti dei fatti, in assenza, non di rado, anche di riscontri oggettivi o di altri elementi atti ad attribuire maggiore credibilità, dall'esterno, all'una o all'altra tesi”.
Cassazione penale sez. III, 15/09/2015, (ud. 15/09/2015, dep. 19/10/2015), n.41853: ”Ai fini di una corretta valutazione di una chiamata in correità, il Giudice deve in primo luogo verificare la credibilità del dichiarante, valutando la sua personalità, le sue condizioni socio-economiche e familiari, il suo passato, i suoi rapporti con i chiamati in correità e le ragioni che lo hanno indotto alla confessione ed all'accusa dei coautori e complici; in secondo luogo, deve verificare l'attendibilità delle dichiarazioni rese, valutandone l'intrinseca consistenza e le caratteristiche, avendo riguardo, tra l'altro, alla loro spontaneità ed autonomia, alla loro precisione, alla completezza della narrazione dei fatti, alla loro coerenza e costanza; deve, infine, verificare l'esistenza di riscontri esterni, onde trarne la necessaria conferma di attendibilità”.
Cassazione penale sez. VI, 17/03/2015, (ud. 17/03/2015, dep. 31/03/2015), n.13809: “In tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà [...], su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento”.
Cassazione penale sez. I, 27/04/2017, (ud. 27/04/2017, dep. 23/04/2018), n.18018: “La validazione delle dichiarazioni accusatorie dei collaboratori di giustizia deve procedere secondo un ordine logico-giuridico che prevede, innanzitutto, la verifica della "credibilità soggettiva" del dichiarante - da compiersi in relazione alla sua personalità, alle sue condizioni socio-economiche e familiari, al suo passato, ai suoi rapporti con i soggetti accusati, nonché alle ragioni che ne hanno indotto la scelta collaborativa - cui deve seguire o comunque accompagnarsi la verifica dell'attendibilità oggettiva" delle dichiarazioni rese, da apprezzarsi nella loro consistenza intrinseca e nelle loro caratteristiche, con riguardo alla spontaneità, all'autonomia, alla precisione, alla completezza della narrazione dei fatti, alla loro coerenza e costanza; soltanto dopo avere sciolto il senso positivo, alla stregua dei suddetti parametri, il giudizio sulla credibilità del collaboratore e delle sue propalazioni accusatorie, il giudice di merito è legittimato - e tenuto - a verificare l'esistenza dei "riscontri esterni", di natura individualizzante [...]”.
Cassazione penale sez. III, 04/12/2014, (ud. 04/12/2014, dep. 17/02/2015), n.6824: “Ai fini di una corretta valutazione di una chiamata in correità, il giudice deve in primo luogo verificare la credibilità del dichiarante, valutando la sua personalità, le sue condizioni socio-economiche e familiari, il suo passato, i suoi rapporti con i chiamati in correità e le ragioni che lo hanno indotto alla confessione e all'accusa dei coautori e complici; in secondo luogo, deve verificare l'attendibilità delle dichiarazioni rese, valutandone l'intrinseca consistenza e le caratteristiche, avendo riguardo, tra l'altro, alla loro spontaneità e autonomia, alla loro precisione, alla completezza della narrazione dei fatti, alla loro coerenza e costanza; deve, infine, verificare l'esistenza di riscontri esterni, onde trarne la necessaria conferma di attendibilità [...]”.
Cassazione penale sez. II, 07/05/2013, (ud. 07/05/2013, dep. 17/05/2013), n.21171: “Ai fini di una corretta valutazione di una chiamata in correità, il giudice deve in primo luogo verificare la credibilità del dichiarante, valutando la sua personalità, le sue condizioni socio-economiche e familiari, il suo passato, i suoi rapporti con i chiamati in correità e le ragioni che lo hanno indotto alla confessione ed all'accusa dei coautori e complici; in secondo luogo, deve verificare l'attendibilità delle dichiarazioni rese, valutandone l'intrinseca consistenza e le caratteristiche, avendo riguardo, tra l'altro, alla loro spontaneità ed autonomia, alla loro precisione, alla completezza della narrazione dei fatti, alla loro coerenza e costanza; deve, infine, verificare l'esistenza di riscontri esterni, onde trarne la necessaria conferma di attendibilità [...]”.
Cassazione penale sez. un., 29/11/2012, (ud. 29/11/2012, dep. 14/05/2013), n.20804: “La chiamata in correità o in reità "de relato", anche se non asseverata dalla fonte diretta […] può avere come unico riscontro, ai fini della prova della responsabilità penale dell'accusato, altra o altre chiamate di analogo tenore, purché siano rispettate le seguenti condizioni: a) risulti positivamente effettuata la valutazione della credibilità soggettiva di ciascun dichiarante e dell'attendibilità intrinseca di ogni singola dichiarazione, in base ai criteri della specificità, della coerenza, della costanza, della spontaneità [...]”.
Cassazione penale sez. VI, 03/10/2012, (ud. 03/10/2012, dep. 09/11/2012), n.43526: “In tema di dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia, il cd. "pentimento", collegato nella maggior parte dei casi a motivazioni utilitaristiche ed all'intento di conseguire vantaggi di vario genere, non può essere assunto ad indice di una metamorfosi morale del soggetto già dedito al crimine, capace di fondare un'attendibilità intrinseca delle sue propalazioni. Ne consegue che l'indagine sulla credibilità del collaboratore deve essere compiuta dal giudice non tanto facendo leva sulle qualità morali della persona - e quindi sulla genuinità del suo pentimento - quanto sulle ragioni che possono averlo indotto alla collaborazione e sulla valutazione dei suoi rapporti con i chiamati in correità, oltre che sulla precisione, coerenza, costanza e spontaneità delle dichiarazioni”.
Cassazione penale sez. IV, 18/09/2019, (ud. 18/09/2019, dep. 27/09/2019), n.39790: “[...]la chiamata in correità o in reità de relato, anche se non asseverata dalla fonte diretta, il cui esame risulti impossibile, può avere come unico riscontro, ai fini della prova della responsabilità penale dell'accusato, altra o altre chiamate di analogo tenore, purchè siano rispettate le seguenti condizioni: a) risulti positivamente effettuata la valutazione della credibilità soggettiva di ciascun dichiarante e dell'attendibilità intrinseca di ogni singola dichiarazione, in base ai criteri della specificità, della coerenza, della costanza, della spontaneità; b) siano accertati i rapporti personali fra il dichiarante e la fonte diretta, per inferirne dati sintomatici della corrispondenza al vero di quanto dalla seconda confidato al primo [...]”.
Cassazione penale sez. II, 04/07/2018, (ud. 04/07/2018, dep. 26/09/2018), n.41751: “Le dichiarazioni predibattimentali della persona offesa, anche quando acquisite ai sensi dell'art. 500, comma 4, cod. proc. pen., possono costituire fonte probatoria esclusiva e determinante dell'affermazione di responsabilità dell'imputato, laddove la loro attendibilità intrinseca sia confermata attraverso il rigoroso vaglio delle garanzie procedurali emergenti dalla progressione processuale, senza la necessità di reperire i riscontri esterni di cui all'art. 192, comma 3, cod. proc. pen. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto l'attendibilità della persona offesa le cui dichiarazioni erano risultate spontanee, costanti, specifiche e prive di contraddizioni)”.
Cassazione penale sez. VI, 14/06/2018, (ud. 14/06/2018, dep. 24/09/2018), n.40899: “ La chiamata in correità o in reità "de relato", anche se non asseverata dalla fonte diretta, il cui esame risulti impossibile, può avere come unico riscontro, ai fini della prova della responsabilità penale dell'accusato, altra o altre chiamate di analogo tenore, purchè siano rispettate le seguenti condizioni: a) risulti positivamente effettuata la valutazione della credibilità soggettiva di ciascun dichiarante e dell'attendibilità intrinseca di ogni singola dichiarazione, in base ai criteri della specificità, della coerenza, della costanza, della spontaneità; b) siano accertati i rapporti personali fra il dichiarante e la fonte diretta, per inferirne dati sintomatici della corrispondenza al vero di quanto dalla seconda confidato al primo [...]”.
Cassazione civile sez. VI, 27/01/2015, (ud. 14/10/2014, dep. 27/01/2015), n.1547: “Il giudice, nel caso sussista un contrasto fra le dichiarazioni rese dai testimoni escussi, è tenuto a confrontare le deposizioni raccolte ed a valutare la credibilità dei testi in base ad elementi soggettivi ed oggettivi, quali la loro qualità e vicinanza alle parti, l'intrinseca congruenza di dette dichiarazioni e la convergenza di queste con gli eventuali elementi di prova acquisiti, per poi esporre le ragioni che lo hanno portato a ritenere più attendibile una testimonianza rispetto all'altra o ad escludere la credibilità di entrambe”.
Cassazione penale sez. II, 27/10/2009, (ud. 27/10/2009, dep. 09/11/2009), n.42601: “A norma di quanto disposto dall'art. 192, commi 3 e 4 c.p.p., quando è tenuto a giudicare della valenza probatoria di una chiamata in correità o in reità, il giudice deve innanzitutto affrontare il problema della "credibilità del dichiarante" (confitente e accusatore), in relazione, tra l'altro, alla sua personalità, alle sue condizioni economiche, al suo passato e ai suoi rapporti con l'accusato, alla genesi e alle ragioni che lo hanno indotto alla confessione e all'accusa a carico dei coautori e complici. In secondo luogo, deve valutare l'attendibilità"delle dichiarazioni" rese, verificandone l'intrinseca consistenza e le caratteristiche, alla luce di criteri quali, tra gli altri, quelli della spontaneità, precisione, completezza della narrazione dei fatti, coerenza e costanza. Infine, egli deve esaminare l'esistenza di "riscontri esterni", ai fini della necessaria conferma di attendibilità. L'esame da parte del giudice deve essere compiuto seguendo l'indicato ordine logico, perché non si può procedere a una valutazione unitaria della chiamata e degli "altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità" se prima non si chiariscono gli eventuali dubbi che si addensino sulla chiamata in sé, indipendentemente dagli elementi di verifica esterni a essa”.
Cassazione penale sez. IV, 28/04/2009, (ud. 28/04/2009, dep. 21/05/2009), n.21274: “Il giudice del merito, chiamato a valutare l'attendibilità delle dichiarazioni del coimputato, deve prima accertare la credibilità soggettiva del teste analizzando anche le ragioni che inducono il coimputato a collaborare, le condizioni socio-economiche e familiari e i rapporti con i chiamati in correità; successivamente deve accertare l'attendibilità intrinseca delle dichiarazioni del collaboratore che devono essere coerenti, precise, costanti nel tempo e spontanee. Una ricostruzione fantasiosa o del tutto generica dei rapporti, o contrastante con elementi di prova oggettivi, incrina irrimediabilmente l'attendibilità delle dichiarazioni di accusa sull'episodio criminoso, anche nel caso in cui il teste sia stato dichiarato soggettivamente credibile”.
Cassazione penale sez. IV, 17/12/2008, (ud. 17/12/2008, dep. 17/04/2009), n.16614: “Ai fini di una corretta valutazione della chiamata in correità a mente del disposto dell'art. 192, comma 3, del c.p.p., il giudice deve […] verificare l'intrinseca consistenza e le caratteristiche delle dichiarazioni del chiamante, alla luce di criteri quali, tra gli altri, quelli della precisione, della coerenza, della costanza, della spontaneità; infine, egli deve esaminare i riscontri cosiddetti esterni. L'esame del giudice deve essere compiuto seguendo l'indicato ordine logico perché non si può procedere ad una valutazione unitaria della chiamata in correità e degli altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità se prima non si chiariscono gli eventuali dubbi che si addensino sulla chiamata in sé, indipendentemente dagli elementi di verifica esterni ad essa. In presenza di tutti i suddetti requisiti, deve ritenersi che la chiamata di correo abbia valore di prova diretta contro l'accusato”.
Cassazione penale sez. V, 28/06/2006, (ud. 28/06/2006, dep. 21/09/2006), n.31442: “La chiamata in correità posta a fondamento di una affermazione di responsabilità richiede che il giudice affronti e risolva, anzitutto, il problema della credibilità del dichiarante in relazione, tra l'altro, alla sua personalità, alle sue condizioni socio-economiche, al suo passato e ai suoi rapporti con il chiamato in correità nonché alla genesi e alle ragioni che lo hanno indotto alla confessione e all'accusa dei coautori e complici; in secondo luogo, il giudice deve verificarne l'intrinseca consistenza e le caratteristiche, alla luce di criteri quali, tra gli altri, quelli della spontaneità ed autonomia, precisione, completezza della narrazione dei fatti, coerenza e costanza; infine, egli deve verificare i riscontri esterni, i quali sono realmente rafforzativi della chiamata in quanto siano individualizzanti e, quindi, inequivocabilmente idonei ad istituire un collegamento diretto con i fatti per cui si procede e con il soggetto contro il quale si procede”.
Cassazione penale sez. II, 21/12/2004, (ud. 21/12/2004, dep. 26/01/2005), n.2350: “Ai fini di una corretta valutazione della chiamata in correità a mente del disposto dell'art. 192 comma 3 c.p.p., il giudice deve in primo luogo sciogliere il problema della credibilità del dichiarante (confidente e accusatore) in relazione alla sua personalità, alle sue condizioni socio-economiche e familiari, al suo passato, ai rapporti con i chiamati in correità e alla genesi remota e prossima della sua risoluzione alla confessione e all'accusa dei coautori e complici; in secondo luogo deve verificare l'intrinseca consistenza e le caratteristiche delle dichiarazioni del chiamante, alla luce di criteri come precisione, coerenza, costanza, spontaneità; infine deve esaminare i riscontri cosiddetti esterni. Questo esame deve essere compiuto seguendo l'indicato ordine logico perché non si può procedere a una valutazione unitaria della chiamata in correità e degli altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità se prima non si chiariscono gli eventuali dubbi che si addensino sulla chiamata in sé, indipendentemente dagli elementi di verifica esterni ad essa. In presenza di tutti i suddetti requisiti, la chiamata di correo ha valore di prova diretta contro l'accusato”.
Cassazione penale sez. I, 15/01/1999
LIBERTÀ PERSONALE - Voce storica "MISURE CAUTELARI PERSONALI" - - condizioni e criteri di applicabilità: “Quando, ai fini della ricorrenza dei gravi indizi di colpevolezza quale presupposto di una misura cautelare, rilevi una chiamata di correo, di questa deve essere anzitutto verificata l'attendibilità intrinseca, mentre ha scarsa rilevanza l'attendibilità generale del chiamante, in quanto il principio della cosiddetta frazionabilità delle chiamate di correo impone la verifica di ogni singola accusa sotto i profili della genuinità, della spontaneità, del disinteresse, della costanza e della coerenza logica; quanto alla verifica dei riscontri estrinseci, poiché per la pronuncia della condanna in giudizio occorre raggiungere la valenza probatoria di conclusiva certezza prescritta dall'art. 192 c.p.p., occorre che la chiamata di correo sia assistita da riscontri obiettivi, di qualsiasi natura, tale da consentire un collegamento logico e storico con i fatti per cui si procede, sicché possono essere utilizzati come riscontri solo gli elementi di indagine che attengano alla condotta attribuita alla persona accusata [...]”.