Riconoscimento di persona: indagine su 291 processi
I risultati riportati di sotto sono riferiti ad una ricerca condotta congiuntamente dall’Unione delle Camere Penali e dall’Università degli studi di Padova.
Lo scopo dell’indagine è stato quello di raccogliere dati relativi a processi nei quali hanno giocato un ruolo importante le procedure di riconoscimento di un indagato/imputato.
Da una prima e più superficiale analisi dei dati, senza applicare alcun filtro, emerge che in Italia l’82% (dei 291 casi analizzati) dei riconoscimenti avviene con la photo line-up. Indubbiamente questo metodo è più facilmente applicabile rispetto al riconoscimento cd all'americana, ma in questo modo si vanno anche a perdere dei dettagli, quali l’espressione facciale e i movimenti, che sono degli indizi utili per un corretto del riconoscimento.
Il 40% delle prove di riconoscimento avviene almeno un anno dopo il reato, quindi presumibilmente il teste deve riuscire ad identificare una persona che ha visto, per un periodo limitato di tempo, almeno un anno prima.
Inoltre, in più della metà dei casi (52%) non sono usati un numero sufficiente di distrattori e, nel 38,46% del totale, questi non sono neanche stati selezionati sulla base delle caratteristiche descritte dal testimone; si aggiunge, anche, che più della metà delle prove viene eseguita da un’autorità che è a conoscenza di chi sia l’indagato. Nonostante più del 60% degli avvocati che hanno partecipato al questionario dichiari di essere a conoscenza dei metodi da utilizzare per valutare l’idoneità di una testimonianza, il 64,71% ritiene che la vista, valutata in termini di distanza dall’autore del reato, condizioni di luminosità, tempo disponibile per l’osservazione, non abbia inciso per niente o comunque moderatamente sulla capacità di riconoscimento del testimone oculare.
Nella quasi totalità dei casi, non viene nominato un consulente o un perito esperto in materia di riconoscimento di persone. La cosa, però, più sorprendente, è che nel 60% dei casi non vi è neanche corrispondenza tra la persona identificata dal testimone e prova scientifica (ad esempio DNA rinvenuto che avrebbe dovuto combaciare con quello del soggetto riconosciuto); nonostante questo, il 98,81% degli imputati è stato rinviato a giudizio; l’82,61% di coloro che chiedono il rito abbreviato e il 76,36% di coloro che non lo chiedono, viene condannato.
Considerando quella fetta di testimoni che non ha fornito una descrizione dettagliata dell’indagato (n=48), emerge che, oltre a non essere scelti –i distrattori- sulla base di somiglianze fisiche (n=20/38), in più della metà dei casi non erano neanche in numero sufficiente per rendere la prova al limite dell’attendibilità (n=32/38). Dunque la scelta del teste doveva essere effettuata tra poche persone e, per di più, diverse tra loro; chiaramente, nella quasi totalità delle prove non è stato chiesto l’aiuto di un esperto in materia (n=43/46). Non sorprende che nel 75% dei casi non vi era corrispondenza tra persona identificata e prova scientifica (n=3/4; solo in 4 casi è stato possibile raccogliere una prova scientifica); sorprende, invece, che l’82% dei sospettati (n=34/41) è stato condannato in primo grado.
Se consideriamo quella percentuale di testimoni che ha fornito una descrizione verbale dettagliata del colpevole (n=90), emerge che, comunque, il 31% dei distrattori (n=20/64) non è stato scelto sulla base di tali caratteristiche e, nell’80% delle prove (n=48/60), il numero era insufficiente. Nel 27% (n=3/11) delle indagini, non vi è stata corrispondenza tra imputato e prova scientifica ma il 100% degli indagati (n=51) è stato rinviato a giudizio nell’udienza preliminare.
Sebbene il campione risulti piccolo (n=6) e, pertanto, queste analisi non posso avere validità statistica, è interessante andare a considerare i casi in cui non è stata trovata corrispondenza tra il riconoscimento oculare e la prova scientifica. Oltre a non essere stata chiesta una valutazione da parte di un esperto in materia nell’83,33% dei casi (n=5/6), si evidenzia che la totalità degli indagati è stata rinviata a giudizio e l’80% di loro (n=4/5) è stato condannato in primo grado.
Incrociando queste due risposte, quindi considerando solo i casi in cui non è stata trovata corrispondenza tra riconoscimento e prova scientifica e in cui l’indagato è stato condannato in primo grado (n=4), si evidenzia che in 3 casi su 4 il testimone è stato a pensare per un tempo discretamente lungo prima di indicare il “colpevole”, e nel restante caso l’avvocato afferma che “si capiva che andava ad identificare per esclusione”. Inoltre, il 75% dei testimoni (n=3/4) non ha fornito descrizioni dettagliate della persona da identificare, con la necessaria conseguenza che i distrattori –oltre ad essere, nella totalità di questi casi in un numero inferiore a quelli necessari- non si assomigliavano tra di loro. In 3 di questi casi, colui che conduceva il riconoscimento era a conoscenza di chi fosse l’indagato; solo in un caso è stato chiamato un esperto in tema di riconoscimento.