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Polvere: il caso Marta Russo

Polvere: il caso Marta Russo

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Marta Russo, studentessa di Giurisprudenza alla Sapienza di Roma viene uccisa in prossimità della Facoltà, dentro la cittadella universitaria. Muore cinque giorni dopo il ricovero.Nel 2003 fu condannato in via definitiva per il delitto, principalmente sulla base di una controversa testimonianza, un assistente universitario di filosofia del diritto Giovanni Scattone, per omicidio colposo aggravato; un suo collega, Salvatore Ferraro, fu condannato limitatamente al reato di favoreggiamento; entrambi si sono sempre professati innocenti.

Chiara Lalli e Cecilia Sala hanno lavorato oltre un anno su documenti originali del processo relativo all'omicidio di Marta Russo, un caso giudiziario molto controverso dell'anno 1997.

Hanno intervistato gran parte dei protagonisti della vicenda, hanno inoltre scovato nuovi testimoni e hanno analizzato minuziosamente tutta la documentazione processuale.

Hanno organizzato il tutto nel volume Polvere. Il caso Marta Russo

Polvere: Il caso Marta Russo di Lali e Sala

E hanno reso accessibile un podcast in 8 puntate che può essere ascoltato qui:

PODCAST -Polvere: il caso Marta Russo

Il caso è di particolare interesse per la Psicologia Forense in particolare per i criteri di valutazione delle dichiarazioni del testimone e per questo ho fatto alcune domande alle autrici.

 

Mi pare di capire che questa indagine e come una piramide in equilibrio instabile sulla punta e la punta sarebbe la perizia sulle tracce di polvere da sparo? E così?

 

Sì, perché alcuni giorni dopo lo sparo la perizia della Polizia scientifica dice che c’è polvere da sparo sul davanzale dell’aula 6, l’aula assistenti dell’Istituto di Filosofia del diritto. E così la scena del crimine si sposta dal vialetto - dove passano centinaia di persone e dove affacciano decine di finestre - a una stanza, cioè un luogo più facile da analizzare. Ora che sappiamo da dove qualcuno ha sparato la domanda è: chi c’era all’ora del delitto?

In quella stanza c’è un telefono, quel telefono è stato usato alle 11.44, due minuti dopo lo sparo, da Maria Chiara Lipari. Interrogata, Lipari dirà di non ricordare bene ma che le sembra che non ci fosse nessuno mentre telefonava. È la prima di tantissime versioni della mattina del delitto - alcune delle quali sicuramente false perché smentite dai riscontri.

 

Capisco che questa indagine è stata orientata fin dall'inizio dai risultati di una consulenza che posizionava una particella univocamente attribuibile ad uno sparo nell’aula 6. Potete spiegarci meglio perché poi la perizia al dibattimento rovescia queste conclusioni?

 

Perché il perito della Corte, Carlo Torre, dice che quella particella binaria (bario-antimonio) è solo compatibile con la polvere da sparo e non univoca. Potrebbe essere un residuo di polvere da sparo, ma potrebbe essere il residuo dei freni di una macchina. Insomma la premessa data per certa è invece probabile. Non solo: la particella binaria è incompatibile con il proiettile Eley che ha ucciso Marta Russo.

 

Scattone e Ferraro però sono posizionati, nella ricostruzione accusatoria, alla finestra solo sulla base di testimonianze. Sono racconti spontanei effettuati nell’immediatezza?

 

No. Lipari fa il nome di Scattone solo l’8 agosto, quasi due mesi dopo il loro arresto e dopo moltissime versioni della stanza 6 quella mattina: non c’è nessuno, forse alcune presenze, sicuramente non c’erano donne, Massimo Mancini (che però ha un alibi), tre persone, poi quattro e molti altri particolari che cambiano e mutano di interrogatorio in interrogatorio. Il nome di Ferraro invece lo fa dopo aver sentito un accento calabrese di due uomini che la aspettano sotto casa in una macchina rossa e che Lipari teme possano essere i complici dell’assassino. Ma quei due sono poliziotti.

Gabriella Alletto (che è l’unica testimone di qualcosa di penalmente rilevante) per cinque settimane dice di non sapere nulla e giura sulla testa dei suoi figli di non essere mai entrata in quell’aula. Minacciata di essere mandata in carcere per 24 anni, insiste di non avere idea. Intercettata, si lamenta di essere stata messa in mezzo “come una stronza”.

 

Quindi le prime dichiarazioni spontanee dei testimoni chiave differiscono da quelle che poi sono state formalizzate al processo?

Sì. E non si capisce come si sceglie la versione “giusta” quando ce ne sono diverse. O meglio, si dovrebbe scegliere la versione supportata da qualche prova. In questo caso sembra che si sia scelta la versione conveniente all'accusa.

 

Le sentenze spiegano per quale motivo sono le ultime dichiarazioni dei testimoni quelle da considerare come rappresentazioni di quello che è successo nella stanza 6 e non le loro prime dichiarazioni nelle quali Scattone e Ferraro non comparivano sulla scena del crimine?

No. Le due testimoni principali sono considerate attendibili, ma non si spiega perché e non si spiega perché si è scelta una versione e non un’altra.

Secondo l'accusa i testimoni non hanno parlato subito per una sorta di omertà presente nella Facoltà di Giurisprudenza. Quali sono le prove dell'esistenza di questa rete di connivenze?

La connivenza e l’omertà sono più una sensazione che qualcosa che viene dimostrata. Certo, molti avevano qualcosa da nascondere - un concorso, un cartellino timbrato per un altro, un’assunzione forse irregolare - ma probabilmente erano solo questo: piccole o grandi truffe quotidiane e non la complicità con un assassino. Quelle truffe sono state usate come arma di ricatto e poi abbandonate quando non servivano più, cioè come mezzo di convinzione.

Polvere: il caso Marta Russo

giuseppe.sartori@unipd.it

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